La riscoperta della cannabis medicinale ad oggi

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Cannabis medicinale e storia antica

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L’interesse medico per la Cannabis si risveglia all’inizio degli anni settanta del secolo scorso, in seguito alla scoperta del Cannabidiolo (CBD), nel 1964 da parte del team coordinato da Raphael Mechoulam, professore di chimica alla Università Ebraica di Gerusalemme, membro dell’Istituto Weizmann, e successivamente del ∆-9 tetraidrocannabinolo (THC), il principale componente psicoattivo della Cannabis.

In questi anni, Lester Grinspoon, professore di psichiatria all’Università di Harvard, ebbe forse il ruolo principale nel processo di reintroduzione della Cannabis in medicina. Nel 1967 il Prof. Grinspoon dedicò un anno sabbatico alla ricerca sulla Cannabis. 

Il suo scopo originario era di supportare scientificamente la diffusa preoccupazione per il crescente uso di Cannabis da parte dei giovani. Lo studio della letteratura scientifica lo convinse che la posizione ufficiale e, di conseguenza il giudizio popolare, erano viziati alla base da pessime informazioni, se non da vere e proprie bugie e manipolazioni. Così nel 1971 pubblicò il risultato delle sue ricerche in un libro, “Marihuana reconsidered”, che ancora oggi può essere considerato la migliore e più esauriente introduzione sull’argomento.        Ed è proprio nel 1971 che nella Conferenza sulle Droghe delle Nazioni Unite che si riconosce l’importanza fondamentale di alcune sostanze classificate come narcotici e proibite, anche per un valore medicinale terapeutico.

Si legge:

Convenzione sulle sostanze psicotrope

(stipulata a Vienna il 21 febbraio 1971)

PREAMBOLO

Le Parti :

-Pensose della salute fisica e morale dell’umanità,

-Preoccupate del problema della salute pubblica e del problema sociale che sorgono dall’abuso di alcune sostanze psicotrope,

-Determinate a prevenire ed a combattere l’abuso di tali sostanze e il traffico illecito che ne consegue,

Riconoscendo che l’utilizzazione delle sostanze psicotrope a fini medici e scientifici è indispensabile e che la possibilità di procurarsi queste sostanze a tale fine non dovrebbe essere oggetto di alcuna restrizione ingiustificata […]”

Due anni dopo l’uscita di “Marijuana reconsidered”, nel 1973, il dott. Tod H. Mikuriya pubblicò il primo libro a nostra conoscenza specificamente dedicato agli usi medici della Cannabis. Si tratta di una voluminosa raccolta di articoli scientifici pubblicati fra il 1839 e il 1972.

Nel 1976 in seguito alla assoluzione dopo il processo di Robert C. Randall, il primo paziente della Storia che utilizzasse Canapa terapeutica per lenire il glaucoma, venne istituito il Compassionate Investigational New Drug program”, o “Compassionate IND”, per fornire droga vegetale prodotta presso l’Università del Missisippi.

Nel 1978 la Investigational New Drug Application Society forniva Canapa a sette pazienti durante il programma chiamato “Compassionate use Program”, sospeso poi nel 1991. Ad oggi rimangono solo 4 pazienti, che ancora ricevono la terapia.

A queste prime opere se ne affiancarono, negli anni successivi, molte altre. Tra queste in particolare ricordiamo il famoso rapporto dell’Institute of Medicine dell’Accademia Nazionale delle Scienze (1982) che dedica un ampio capitolo a “Potenziale terapeutico e usi medici della marijuana”.

Negli anni successivi saranno pubblicate altre opere dedicate ai potenziali terapeutici e agli usi medici della Cannabis, e a partire dal 1985 viene sviluppato e commercializzato negli USA il primo cannabinoide di sintesi, il Dronabinol, ad azione agonista del THC, cui segue poi l’equivalente Nabilone in Gran Bretagna (Herkenham, 1986).

Infine, negli anni ’90, numerosi libri aprono la strada ai nuovi movimenti di base impegnati per la riconquista del diritto alla “marijuana come medicina”. Da segnalare la nuova fondamentale opera di L. Grinspoon e J.B. Bakalar sugli usi medici della Cannabis: “Marijuana – the forbidden medicine”; l’importante “Marijuana myths, marijuana facts” di Lynn Zimmer e John P. Morgan.

Nel 1990 vengono scoperti i recettori dei cannabinoidi da parte di Herkenham.

Nel 1996 nello stato della California viene sancita per la prima volta, tramite un referendum, la liceità dell’uso terapeutico.

A livello politico e normativo una svolta si ebbe nel 1997, dopo la pubblicazione degli studi del British Medical Association che individuò alcune possibili aree terapeutiche specifiche, dopo la rassegna di tutti gli studi medico-clinici sul tema.

Il 5 novembre del 1998: gli elettori americani di Alaska, Arizona, Colorado, Nevada, Oregon e Washington, consultati con un referendum su questo tema, approvano l’uso terapeutico della marijuana per i malati di tumore e di AIDS. E in analoga direzione va un recente provvedimento legislativo dello stato delle Hawaii.

Qualche giorno dopo, in Europa, lo Science and Technology Committee della Camera dei Lord britannica pubblica un rapporto che, sollecitando una modifica della legge attualmente in vigore, promuove l’uso terapeutico dei derivati della cannabis.

E a distanza di pochi mesi viene pubblicato un nuovo rapporto dell’Institute of Medicine della National Academy of Sciences USA “Marijuana and Medicine: Assessing the Science Base”, che formula analoghe raccomandazioni.

Questo ha portato, agli inizi del ’99, a prese di posizione a favore dell’uso medico dei cannabinoidi da parte del Governo israeliano, dell’ International Narcotic Control Board dell’ONU, del Ministro della Sanità canadese, e del Ministro della Sanità tedesco.

Le Nazioni Unite riconsiderarono il THC da narcotico a sostanza psicotropa e autorizzarono il suo uso terapeutico.

Nel 2005 in Canada è stato introdotto il Sativex®, brevettato da GW Pharmaceuticals e che, grazie ad un accordo commerciale, viene distribuito sul mercato dalla Bayer; è il primo farmaco, contenente cannabinoidi ottenuti da estratti vegetali, ad essere accettato nella farmacopea ufficiale di un paese occidentale nell’ era moderna, per il sollievo da dolore neuropatico nella sclerosi multipla.

Negli ultimi anni la Cannabis nel mondo sta subendo una ulteriore rivisitazione riguardo alle sue proprietà terapeutiche che prevedono sempre maggiori campi di impiego; è consentito l’uso terapeutico in molti stati negli Usa, tra cui annoveriamo: Alaska, Arizona, Arkansas California, Canada, Colorado, Connecticut, Delaware, District of Columbia, Hawaii, Illinois, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Montana, New Hampshire, Nevada, New Jersey, New Mexico, New York, Oregon, Pensylvannia, Rhode Island, Vermont, Texas, Washington, Washington DC, Winsconsin.

Dal 2014 in Colorado e nel Washington si è aperta la strada per l’uso ricreativo, ludico legale. A livello europeo l’uso medico della Cannabis è legale in alcuni paesi, tra cui Austria, Finlandia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania e Spagna, Francia.

Pioniera l’Olanda nel 2003, fu la prima nazione a dotarsi di un Ufficio Pubblico del Ministero della Salute dedicato alla Cannabis, BMC (Bureau of Medical Cannabis) per la gestione legale della Cannabis terapeutica venduta in Olanda. Riconoscendo tra i primi le potenzilità medicinali della Cannabis, forse aiutati anche dall’apertura mentale delle leggi e dalla disponibilità della droga nei coffeshop, sono proprio i Paesi Bassi a sollevare il problema della standardizzazione del prodotto.

Pragmaticamente indicono una gara di appalto per la coltivazione e la produzione della droga, per il controllo qualità e istituiscono l’Ufficio per la Cannabis Medicinale OMC, che in ottemperanza delle regole imposte dalla Convenzione Unica sugli stupefacenti delle Nazioni Unite, gestisce e coordina tutte le operazioni e la distibuzione.

Nasce la Bedrocan BV, la prima azienda europea autorizzata a coltivare varietà medicinali di Cannabis.

Le piante, una volta coltivate in ambienti artificiali in condizioni standardizzate, sono raccolte, pulite ed essiccate.

La dorga vegetale ottenuta viene successivamente sterilizzata mediante un processo di irraggiamento con raggi gamma, confezionata, ricontrollata per la qualità e resa disponibile per il commercio. Diventa dunque disponibile per il mercato Olandese e di conseguenza europeo della prima droga vegetale stupefacente prodotta e distribuita legalmente.

Dal 2013 in Canada, dopo 10 anni di sperimentazione con il programma MMAR, delinea le prime linee guida sulla coltivazione e produzione di Cannabis per uso terapeutico di grado farmaceutico e apre il programma MMPR per l’arruolamento di produttori autorizzati per il mercato farmaceutico nazionale. In breve tempo si raccolgono le adesioni di una quindicina di produttori autorizzati dal governo Canadese, che coltivano e distribuiscono droga vegetale di differenti varietà ai pazienti dotati di ricetta medica.

L’esperienza maturata in un decannio, pone le basi per continuare la distribuzione attraverso i canali dei ‘caregiver’, senza passare necessariamente dalle farmacie, trattando la cannabis medicinale come droga vegetale, non come farmaco formulato. In breve tempo il Canada diventa il leader della produzione e coltivazione legale della cannabis terapeutica, prevedendo per il 2015 un fabbisogno annuale di circa 55 tonnellate di droga vegetale.

La situazione in Italia è, come al solito, molto complessa.

Negli ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo vorticoso delle leggi in materia.

Con il tardivo recepimento della Conferenza delle Nazioni Unite del 1961, l’Italia promuove una legge molto restrittiva sugli stupefacenti nel 1964, ritoccata nel 22 dicembre 1975, che rimane immodificata sino alla sua revisione, tradotta nel d.pr 309/90, tuttora in vigore.

L’unica maniera di ottenere legalmente i cannabinoidi è rappresentata dalla complessa procedura prevista dal D.M. 11-2-1997 (Importazione di specialità medicinali registrate all’estero) e inizialmente era legate esclusivamente alle specialità medicinali registrate negli altri paesi.

Dobbiamo attendere sino al 8 aprile 1998 con l’approvazione della cosiddetta Legge Di Bella n.94/98, con cui si regolamentano le formulazioni galeniche magistrali e officinali.

La legge infatti, in linea con le altre nazioni europee, permette e regolamenta la prescrizione di formulazioni galeniche o magistrali estemporanee, personalizzate da paziente a paziente, e fornite caso per caso dalla farmacia dietro ricetta medica.

All’epoca non era diponibile al mondo però alcuna droga vegetale standardizzata e prodotta per il mercato farmaceutico, da usarsi come materia prima per la preparazione magistrale o galenica. Rimanevano a disposizione per il mercato le preparazioni industriali Marinol e Cesamet.

La prima richiesta di importazione di cannabinoidi sul territorio italiano risale all’agosto 2002, su prescrizione del prof. Andrea Pelliccia. Dopo questa prima importazione “pionieristica” il canale individuato è stato ulteriormente perfezionato a favore di alcuni pazienti affetti da sclerosi multipla. L’entusiasmo per essere riusciti a mettere a punto un canale di approvvigionamento legale viene tuttavia ridimensionato dal fatto di dover fare i conti con l’alto costo della terapia e dal variabile intervento delle ASL delle varie Regioni a sostenere questo costo.

Nel 2003 l’OMC olandese inizia la distribuzione alle farmacie della droga vegetale per uso medicinale.

Tuttavia intanto in Italia, l’approvazione, in chiusura della XIV Legislatura, della cosiddetta “legge Giovanardi Fini” (Legge 21 febbraio 2006 n. 49 pubblicata nella G.U. del 27.02.2006) ha classificato arbitrariamente la Cannabis e i suoi derivati tra le sostanze di abuso “ prive di utilità terapeutica” (Tabella I). Per fortuna, quasi a rimediare in corner per lo scempio legislativo, sempre nello stesso anno, il 18 luglio il Ministro della Saluto On. Livia Turco emana un’ordinanza per auorizzare “l’importazione di medicinali a base di delta 9 tetraidrocannabinolo per la somministrazione, a scopo terapeutico, in mancanza di alternative terapeutiche, in pazienti che necessitano di tali medicinali”.

Si deve attendere sino al 2013, anno in cui anche l’Italia, sotto spinta delle pressioni comunitarie, accetta la possibilità di utilizzare cannabinoidi come terapia. Nel pioneristico decreto dell’ On.Balduzzi (ultimo medico nominato come Ministro della Salute) del febbraio 2013, quasi in sordina, si inseriscono le Preparazioni a base di Cannabis in Tabella 2 dei Medicinali Stupefacenti. E’ una data storica per la Cannabis medicinale in Italia.

Poche persone, tra cui molti politici, non avranno di certo compreso la portata del passaggio da una sezione all’altra delle tabelle degli stupefecenti per la cannabis. In un sol colpo si aprivano le porte alla importazione della droga vegetale per le farmacie per il mercato magistrale e galenico, si creava la possibilità industriale di poter coltivare, produrre, trasformare e commerciare la cannabis medicinale e fornirla al paziente.

Poco dopo, nel luglio 2013 il Sativex®, entra nel prontuario farmaceutico come farmaco industriale e su larga scala, dotato di AIC, a prescrizione limitata e approvato per i soli spasmi resistenti alla terapia convenzionale nella Sclerosi Multipla.

Risultano quindi disponibili in Italia attualmente diverse opzioni terapeutiche, indirizzate a patologie diverse e con peculiari e specifici processi prescrittivi e burocratici.

  1. il canale “storico” dei medicamenti, cioè quello galenico magistrale o officinale, in cui una terapia specifica, personalizzata ed estemporanea viene formulata e personalizzata negli ingredienti e nelle dosi dal medico per un singolo paziente, preparata specificamente da parte del farmacista preparatore e utilizzata sotto responsabilità del medico e del paziente. Qualunque medico può prescrivere una ricetta magistrale non ripetibile, su carta bianca osservando certe norme prescrittive particolari. La prescrizione segue le direttive della legge 97/98 e può rigurdare qualunque patologia per cui la scienza riconosca un effetto terapeutico documentato e descritto.
  2. il canale “classico” del farmaco, cioè quello industriale, su larga scala, dei farmaci formulati e dotati di AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) rilasciata dall’ AIFA, a cui appartiene per il mercato Italiano, attualmente solo il Sativex® della GW Pharma, approvato per gli spasmi resistenti alla terapia convenzionale nella sclerosi multipla, prescrivibile con ricetta non ripetibile e limitata solamente da parte di un medico specialista in neurologia. Permangono prescrivibili tramite la procedura di importazione dall’estero le specialità medicinali, che comunque appartengono a questa categoria, Marinol®(dronabinol), disponibile in Olanda, germania, Stati Uniti, e il Cesamet® (nabilone) disponibile nel regno Unito e in Canada, aprovati per il trattameno della nausea e del vomito in soggetti sottoposti a chemioterapie antitumorali e come stimolante l’appetito per il trattamento dell’anoressia in pazienti affetti da AIDS.

A voler complicare le cose, come al solito, (siamo in Italia), probabilmente per motivi più politico elettoriali, basati su antichi pregiudizi, più che su fatti e dati scientifici, in questo panorama di ritrovato entusiasmo, il Ministero della Salute, che naturalmente si trova al centro della gestione di tutte le autorizzazioni necessarie riferite alla Cannabis Medicinale e già regolamentate nei dettagli dal d.pr 309/90, inizia una politica di chiusura a riccio nei confronti di tutti gli attori potenzialmente coinvolti nel nuovo mercato nascente in Italia, e per scelta non vengono concesse ulteriori autorizzazioni

riguardo la cannabis. Nel febbraio 2014, con la sentenza n. 32 la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., che regola la procedura di conversione dei decreti-legge, degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (intitolato “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi”), come convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 deld.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti).

Nel settembre 2014 viene deciso, con un accordo tra i Ministeri della Salute e della Difesa che, per soddisfare il bisogno sempre più cresente di prodotto vegetale che può solo essere importanto dall’estero con grandi costi per l’utenza, sarà incaricato i’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze per la coltivazione delle piante destinate al mercato farmaceutico  e la produzione dei principi attivi per la formulazione di preparazioni a base di cannabinoidi.

Con la scusa di associare la capacità produttiva farmaceutica degli impianti dello Stabilimento Militare, alla sicurezza, data dalla sorveglianza armata dell’istituto.

Con un colpo di mano il Ministero crea un monopolio di fatto che chiude completamente il sistema produttivo farmaceutico e la filiera Italiana della cannabis terapeutica, accentrando tutte le responsabilità, gli oneri e onori in pratica all’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze.

Normalmente uno stato civile e moderno, così come accedde ad esempio in Olanda, avrebbe indetto una gara di appalto pubblico, rivolto a produttori farmaceutici autorizzati, che sarebbero stati in grado di fornire un prodotto standardizzato, dopo adeguata prassi di R&D, senza costi aggiuntivi pubblici e in un normale mercato di libera concorrenza si sarebbe arrivati in breve tempo ad avere qualità di prodotto ad un prezzo inferiore.

Invece, solo nel caso specifico della Cannabis ad uso farmaceutico, in totale contrasto alle norme consuete del mercato farmaceutico, lo stato si inbarca direttamente in un’impresa industriale senza alcuna conoscenza, esperienza o garanzia in mano, investendo una cospicua dose di capitali e risorse pubbliche, in regime di monopolio, rischiando solo una misera figura, inseguendo un “affare” che pare vantaggioso più per le casse dello stato, in prospettiva di speculazione sulla posizione dominante di monopolista, più che per i pazienti che richiedono garanzie di qualità in tempi brevi.

Si deve infatti attendere ben più di un anno, sino al dicembre 2015, per conoscere i dettagli dell’ambizioso progetto ministeriale e comprenderne appieno i numerosi punti di debolezza.

Il 9 novembre 2015 (con decorrenza dicembre 2015) viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale che crea anche per l’Italia un ufficio di controllo per la Cannabis medicinale simile all’ OMC olandese, in ottemperanza dell’art. 21 e 23 della Convenzione Unica sulle sostanze stupefacenti del 1961, che prevede appunto l’istituzione di un organismo di controllo statale, colmando tralaltro un esigenza prevista con un ritardo di più di 50 anni…

Il Ministero della Salute, nel decreto, approfitta per inserire una serie di nuove norme speciali e uniche per il mercato farmaceutico della Cannabis.

In una presa di posizione unica nel suo genere, il Ministero produce un documento che assomiglia di fatto ad un foglietto illustrativo di un formulato industriale, con norme speciali sulla filiera produttiva della cannabis, pesanti limitazioni normative, che di fatto assicurano più il monopolio della produzione statale, piuttosto che garantire una produzione autorizzata volta alla qualità del prodotto in tempi brevi.

Il risultato concreto che gli operatori del settore toccano con mano è una assurda complicazione delle procedure burocratiche, con l’introduzione di nuove carte, nuovi passaggi, senza che venisse risolto il problema dell’approvvigionamento in tempi brevi e a costi ragionevoli della materia prima.

Per mantenere la propria posizione di monopolio, il Ministero della Salute mescola abilmente le carte nel decreto, confondendo, per le richieste e i permessi autorizzativi, i due canali distinti attraverso cui un vengono prescritti Cannabinoidi ai pazienti. La via della formula magistrale galenica, personalizzata, estemporanea e su misura paziente per paziente, che segue precise regole (che di fatto è la via più utilizzata attualmente in Italia sia come volume di vendita che per numero di prescrizioni), viene confusa e sovrapposta con la via industriale e su larga scala dei farmaci immessi in commercio.

Per la Cannabis, e solo unicamente in questo caso nella storia della farmaceutica e della farmaognosia, la droga vegetale,  definita come “parte della pianta dove si concentra la maggior parte del principio attivo”, viene erroneamente e abilmente confusa come “principio attivo” (sostanza pura, estratta tramite solvente o sintetizzata chimicamente, dotata delle attività farmacologiche). E come dire che il chicco del caffè è la caffeina, o il papavero da oppio è la morfina, o il salice è l’aspirina, la foglia del tè è la teina, ecc…

Nella Cannabis la droga vegetale è l’infiorescenza femminile non impollinata ed essiccata.

Nessun processo di estrazione con solventi o sintesi chimica.

Per la cannabis inoltre, non ha molto senso parlare di un principio attivo, quanto più di fitocomplesso.

Nei tricomi ghiandolari la pianta produce più di 600 sostanze diverse, compresi i principi attivi di interesse per l’Ufficio centrale degli Stupefacenti (il delta 9 THC e il delta 8 THC), che tutti insieme, con un effetto “enturage”, concorrono all’effetto terapeutico e medicinale della cannabis. E’ dimostrato che il fitocomplesso intero può essere più efficace con meno effetti collaterali, rispetto alla formulazione di puri principi attivi isolati.

Se apparentemente il confine può sembrare sottile, a livello della normativa farmaceutica, la differenza nelle diverse strutture ed impianti che servono per produrre una droga vegetale o un principio attivo e molto ampia.

Un’ azienda agricola che produce piante officinali, solitamente produce droghe vegetali, anche eventualmente stupefacenti, un’officina farmaceutica produrrà successivamente un farmaco, estraendo principi attivi, formulando una forma farmaceutica (compresse, fiale, spray, supposte. cerotti..) e fabbricandola per via industriale su larga scala.

Le autorizzazioni sono molto diverse e ovviamente molto più complesse per un’officina farmaceutica.

In Italia manca, di fatto la droga vegetale che il farmacista dispensa ai pazienti con ricetta medica, non un farmaco creato attraverso un estrazione di THC. Per quello abbiamo già a disposizione il Marinol, o il Sativex.

Se, ad un osservatore poco attento, l’intenzione potrebbe apparire nobile, di fatto, introducendo nuove richieste autorizzative che coinvolgono ulteriori Enti statali come il Ministero delle Politiche Agricole, le Asl le regioni e AIFA, il Ministero si garantisce ulteriori 24 mesi di monopolio nelle sperimentazioni, prima di poter fornire il mercato farmaceutico. Il sistema risulta paralizzato dalle autorizzazioni necessarie alla produzione, che il Ministero, nel doppio ruolo di committente e di controllore di se stesso, non concede ad altri soggetti, anche se in possesso dei necessari requisiti.

Il timore di tutti è che allo scadere dei 23 mesi ci si trovi davanti ad un ennesimo rinvio…

Attualmente dunque rimangono possibili in Italia tuttora i due canali di approvvigionamento, ognuno ben distinto e caratterizzato per indicazioni, posologia, prescrivibilità, rimborsabilità e prezzo, perdurando comunque la necessità e l’obbligo di importazione dall’ estero di tutti i farmaci contenenti cannabinoidi, sia quelli sotto forma di droga vegetale, sia come formulati industriali.

Ci si augura che il Ministero contatti degli esperti in materia informati, che li aiutino ad uscire da questo imbarazzante empasse, che però di fatto danneggia i pazienti che necessitano e hanno diritto ad una terapia, spesso indispensabile, a costi adeguati.

 

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Gli articoli sono tratti dalla tesi di specializzazione di II livello del Dott. Lorenzo Calvi, “Dalla preistoria alla Farmacopea Moderna Storia dell’uso medicinale e terapeutico della Cannabis sativa L. Validazione e standardizzazione dei metodi analitici della droga vegetale ad uso medicinale e terapeutico umano, armonizzazione delle Linee guida internazionali per il reinserimento della Cannabis sativa L. in Farmacopea ufficiale.” 2015,  Master Etnobiofarmacia e prodotti naturali della biodiversità.

Università degli Studi di Pavia.

Tutti i diritti riservati.

Bibliografia

  • ABEL E.L.(1980): “Marihuana:The First Twelve Thousand Years” Plenium Press, New York, Pg.100.

  • ADAMS TB, Taylor SV (2010). “Safety evaluation of essential oils: a constituent-based approach” baser KHC, Buchbauer G (eds). Handbook of Essential Oils: Science, Technology.

Gli articoli sono tratti dalla tesi di specializzazione di II livello del Dott. Lorenzo Calvi, “Dalla preistoria alla Farmacopea Moderna Storia dell’uso medicinale e terapeutico della Cannabis sativa L. Validazione e standardizzazione dei metodi analitici della droga vegetale ad uso medicinale e terapeutico umano, armonizzazione delle Linee guida internazionali per il reinserimento della Cannabis sativa L. in Farmacopea ufficiale.” 2015,  Master Etnobiofarmacia e prodotti naturali della biodiversità.

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24. Iconografia

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“Spettava al terapista moderno la parola più solenne e precisata sulla vera azione della Canapa ed assegnarle il vero suo posto in terapia. Egli nella sindrome fenomenica e nelle sue conseguenze non vede che l’abuso della sostanza, la poca conoscenza della sua composizione e l’ignoranza sulla sua quantità: onde dall’altro lato considerando che tolto l’abuso, conosciuta la entità del farmaco ed amministrato a dosi moderate e graduate possa riuscire vantaggioso in molte malattie nervose come accade per i più possenti veleni, che dati a dosi frazionate e ponderate riescono i più possenti rimedi: allora invece di un eccitante morbigeno si avrà nelle sue mani un farmaco benefico”

Dott. Raffaele Valieri,

Pavia 1887